La zanzara romagnola o la natura che si ribella

Ho appena visto, niente-popò-di-meno-che al Tg1, un servizio sulla zanzara tigre portatrice dell’esotico virus Chikungunya che questa estate scatenò una piccola epidemia di febbre nel ravennate.

Il servizio parlava dell’articolo apparso ultimamente sul prestigioso Herald Tribune, giornale americano di portata internazionale, il quale riporta in modo abbastanza corretto le vicende di luglio, quando il Chikungunya fece capolino attorno alle zone del Savio, il fiume che divide i due paesi chiamati Castiglione: C. di Cervia e C. di Ravenna. L’articolo prende l’epidemia come esempio dell’attuale insostenibilità del sistema, dove gli scompensi generati in un minuscolo centro di campagna possono creare dei problemi di portata globale.

Secondo il mio punto di vista (da abitante della regione) la zanzara è il problema principale con cui i ravennati si ritrovano a combattere.
Se essa non ci fosse, la vita in questo remoto angolo del pianeta sarebbe diversa. Prima di tutto non avremmo abbandonato le nostre origini palafitticole ed alcuni ravennati d.o.c. avrebbero continuato a vivere negli innumerevoli capanni che costellano le pinete secolari intorno alla città: in queste aree selvagge si sviluppò una fra le più grandi comunità medievali e moderne (insomma fino all’arrivo dell’industrilizzazione massificata) di rifugiati politici che l’Europa potesse vantare.
Oggi invece, i periodi che vanno dalla primavera all’inizio dell’autunno rappresentano un momento in cui le pinete sono off-limits: a meno che una persona non provi gusto ad essere completamente assalita da nuguli di zanzare che cercano di infilarsi a decine in ogni orifizio del corpo – senza contare le centinaia che invece tentano di punzecchiarti sui punti di pelle scoperta – un essere umano normale in queste pinete non può vivere per più di 10 secondi.

Ma non sempre è stato così.
Mentre scrivo, sulle sponde di uno dei canali che forma la valle della Piallassa (nella zona della pinete) è ancora in piedi il vecchio capanno Garibaldi: il luogo in cui lo storico Giuseppe e la sua compagna Anita usavano rifugiarsi 150 anni fa, trascorrendo alcuni momenti di vita immersi nelle piccole e sporadiche comunità vallive che animavano la millenaria civiltà palustre, un’importante epoca che oggi vive solo fra i ricordi di qualche vecchio della zona. Se una volta c’era vita in questi luoghi (e che vita!) allora significa che le zanzare non erano padrone dell’habitat naturale e che quindi sono subentrate successivamente, in un momento non precisato dopo l’unità d’Italia e prima della comparsa delle ultime due generazioni di ravennati. C’è da dire che comunque l’ambiente paludoso è sempre stato amico per questi insetti: non per niente, a livello genetico, i ravennati hanno sviluppato una forma di anemia mediterranea in grado di proteggere gli organismi dagli assalti delle normali zanzare.

Da 3-4 anni Ravenna è diventata un centro di diffusione della zanzara tigre: arrivata attorno alla metà degli anni ’90, uno studio ne ha ripercorso l’evoluzione geografica, dimostrando che in molti casi queste robuste zanzare arrivarono nei nostri porti tramite i ristagni dell’acqua all’interno dei pneumatici che venivano trasportati sulle navi provenienti da Africa e Asia.

E’ curioso notare che Ravenna, a partire dagli anni ’50 cioè forse dal momento in cui le zanzare hanno cominciato a spadroneggiare in pineta, è una capitale mondiale della produzione di gomma per pneumatici: qui si riforniscono di materia prima tutte le più importanti aziende come Pirelli, Goodyear, ecc. L’arrivo della zanzara tigre può quindi rappresentare un "ciclo biopolitico" che si conchiude per questa città: inquiniamo il mondo con i prodotti del petrolchimico e in tutta risposta le zanzare tigre arrivano nel nostro porto a bordo della stessa putrida merce che abbiamo contribuito a produrre. Non fa una piega: il karma della natura non perdona.

 

 

PostScriptum
Dove vivo, in piena Ravenna, ieri ho avvistato due zanzare che volavano: siamo in dicembre e fa un freddo cane.
Non oso pensare quali altri sorprese ci potrà riservare la natura…

2 Responses to “La zanzara romagnola o la natura che si ribella”

  1. Syd Says:

    una cosa che non c’entra nulla, ho conosciuto un altro tuo concittadino, è uno dei miei baristi di fiducia qui a roma, mi sei venuto in mente

    P.S. si chiama derek…che cazzo di nomi c’avete?? 🙂

    Ciao
    Syd

  2. claudio Says:

    Interessante la tua analisi sulle zanzare e sul fastidio che loro arrecano con il punzecchiamento che infliggono a noi esseri umani e ad altri animali. Una integrazione a quanto hai scritto: le zanzare esistono da circa 35.000.000 di anni, l’uomo da molto meno (circa 1.000.000 di ann;, quelli che vivevano nelle palafitte meno di 10.000 anni fa). Le zanzare nelle aree umide del ravennate ci sono sempre state e, fino a 50-60 anni fa era presente anche una delle malattie più temute dall’uomo: la malaria. Ogggiuccide ancora 1.000.000 di persone all’anno e si calcola che tra questi la maggior parte siano bambini sotto i 5 anni (1 ogni 30 secondi!). Esistono interessanti libri dove si possono trovare notizie sulla Malaria nel ravennate, forse in biblioteca riesci a trovare qualche interessante testo. Detto ciò, condivido con te il fattoche le zanzare sono molto noiose e fastidiose, a volte pericolose. Però anche loro appartengono al regno animale e hanno una loro funzione: ne esistono circa 3.200 specie diverse e vanno dai Poli (Nord e sud) all’Equatore, solo una settantina pungono l’uomo per prendere le sostanze proteiche dal loro sangue, sono cibo per molti animali e piante e, in qualche modo, in certi casi sono utili: impollinano i fiori e filtrano l’acqua. ciao, spero di non averti annoiato. Claudio