Archive for the ‘luoghi’ Category

S.O.S. Valle della Luna

Tuesday, April 1st, 2008
Da circa due mesi, alcune losche manovre stanno minando la purezza della Valle della Luna. Pare che l’amministrazione comunale voglia mettere mano al paesaggio, modificando alcuni tratti di sentiero con recinzioni, tavolini da picnic, telecamere di sorveglianza ed altro.
 
L’eterogenea comunità che di tanto in tanto si ritrova tra le rocce della Valle ha avviato una petizione, per chiedere che tali lavori non stravolgano l’essenza della Valle e per fare in modo che non si rivelino il solito scempio ambientale. Chiunque conosca la Valle della Luna, anche solo per sentito dire, può dare una mano firmando questa petizione e facendola girare il più possibile.
 
Qualcuno sta tentando di compromettere la ricchezza sorta in oltre 40 anni di libera autogestione: persone da tutto il mondo hanno contribuito allo sviluppo di questo fazzoletto di rocce e mare, posto sulla punta nord della Sardegna. Non possiamo permetterlo.
 
Firma la petizione per la Valle: http://www.valledellaluna.net/phpPETITION/index.php
Info:  http://valledellaluna.vagabondo.net
 

 

La zanzara romagnola o la natura che si ribella

Saturday, December 22nd, 2007

Ho appena visto, niente-popò-di-meno-che al Tg1, un servizio sulla zanzara tigre portatrice dell’esotico virus Chikungunya che questa estate scatenò una piccola epidemia di febbre nel ravennate.

Il servizio parlava dell’articolo apparso ultimamente sul prestigioso Herald Tribune, giornale americano di portata internazionale, il quale riporta in modo abbastanza corretto le vicende di luglio, quando il Chikungunya fece capolino attorno alle zone del Savio, il fiume che divide i due paesi chiamati Castiglione: C. di Cervia e C. di Ravenna. L’articolo prende l’epidemia come esempio dell’attuale insostenibilità del sistema, dove gli scompensi generati in un minuscolo centro di campagna possono creare dei problemi di portata globale.

Secondo il mio punto di vista (da abitante della regione) la zanzara è il problema principale con cui i ravennati si ritrovano a combattere.
Se essa non ci fosse, la vita in questo remoto angolo del pianeta sarebbe diversa. Prima di tutto non avremmo abbandonato le nostre origini palafitticole ed alcuni ravennati d.o.c. avrebbero continuato a vivere negli innumerevoli capanni che costellano le pinete secolari intorno alla città: in queste aree selvagge si sviluppò una fra le più grandi comunità medievali e moderne (insomma fino all’arrivo dell’industrilizzazione massificata) di rifugiati politici che l’Europa potesse vantare.
Oggi invece, i periodi che vanno dalla primavera all’inizio dell’autunno rappresentano un momento in cui le pinete sono off-limits: a meno che una persona non provi gusto ad essere completamente assalita da nuguli di zanzare che cercano di infilarsi a decine in ogni orifizio del corpo – senza contare le centinaia che invece tentano di punzecchiarti sui punti di pelle scoperta – un essere umano normale in queste pinete non può vivere per più di 10 secondi.

Ma non sempre è stato così.
Mentre scrivo, sulle sponde di uno dei canali che forma la valle della Piallassa (nella zona della pinete) è ancora in piedi il vecchio capanno Garibaldi: il luogo in cui lo storico Giuseppe e la sua compagna Anita usavano rifugiarsi 150 anni fa, trascorrendo alcuni momenti di vita immersi nelle piccole e sporadiche comunità vallive che animavano la millenaria civiltà palustre, un’importante epoca che oggi vive solo fra i ricordi di qualche vecchio della zona. Se una volta c’era vita in questi luoghi (e che vita!) allora significa che le zanzare non erano padrone dell’habitat naturale e che quindi sono subentrate successivamente, in un momento non precisato dopo l’unità d’Italia e prima della comparsa delle ultime due generazioni di ravennati. C’è da dire che comunque l’ambiente paludoso è sempre stato amico per questi insetti: non per niente, a livello genetico, i ravennati hanno sviluppato una forma di anemia mediterranea in grado di proteggere gli organismi dagli assalti delle normali zanzare.

Da 3-4 anni Ravenna è diventata un centro di diffusione della zanzara tigre: arrivata attorno alla metà degli anni ’90, uno studio ne ha ripercorso l’evoluzione geografica, dimostrando che in molti casi queste robuste zanzare arrivarono nei nostri porti tramite i ristagni dell’acqua all’interno dei pneumatici che venivano trasportati sulle navi provenienti da Africa e Asia.

E’ curioso notare che Ravenna, a partire dagli anni ’50 cioè forse dal momento in cui le zanzare hanno cominciato a spadroneggiare in pineta, è una capitale mondiale della produzione di gomma per pneumatici: qui si riforniscono di materia prima tutte le più importanti aziende come Pirelli, Goodyear, ecc. L’arrivo della zanzara tigre può quindi rappresentare un "ciclo biopolitico" che si conchiude per questa città: inquiniamo il mondo con i prodotti del petrolchimico e in tutta risposta le zanzare tigre arrivano nel nostro porto a bordo della stessa putrida merce che abbiamo contribuito a produrre. Non fa una piega: il karma della natura non perdona.

 

 

PostScriptum
Dove vivo, in piena Ravenna, ieri ho avvistato due zanzare che volavano: siamo in dicembre e fa un freddo cane.
Non oso pensare quali altri sorprese ci potrà riservare la natura…

La legge degli spinelli nei parchetti

Monday, September 10th, 2007

Ci sono certe zone in città che alimentano e continuamente rigenerano una tradizione particolare della storia, la tradizione degli spinelli. A distanze siderali dalla fittizia storia dei manuali accademici che tiene tutto in arresto sopra un evento unico (e stupido: la vittoria in guerra), questo scorcio di storia rappresenta piuttosto quelle tradizioni portate avanti da esseri umani in carne ed ossa – e con dei buoni polmoni.

Queste zone si possono ritrovare in alcuni parchetti oppure negli angoli strani di una piazzetta, fra le panchine di un giardinetto o lungo le sponde di un piccolo canale. In città ne esistono a decine di questi luoghi in cui i ragazzi si trovano per chiaccherare e fumare insieme hascisc o marijuana, in tutta allegria. Periodicamente però, all'incirca il mio trascorso mi porta a considerare ogni decina di anni, le forze armate giungono incazzate nere e nel giro di un mesetto con retate e infamate varie smantellano le giovani combriccole. I motivi di tanta collera sono i più svariati, ma nulla è sufficiente ad impedire che in pochi anni la tradizione degli spinelli torni implacabile a manifestarsi in quegli stessi luoghi, rivelando in modo incontrovertibile le falle di un sistema legale che dimostra di non appartenere alla città.

Provo un certo senso di sicurezza quando vedo queste ciurme di giovani che se ne stanno in dieci, venti tutti insieme a discutere e scambiarsi le storie più assurde, facendo attenzione a non fare troppo rumore che altrimenti qualcuno potrebbe fare la spia. Ma la spia non serve, perché la ciurma quasi ignora che dieci anni prima in quel posto gli sbirri erano già venuti a urlare forte la loro ignoranza, il punto se lo erano segnato e sicuramente hanno intenzione di tornarci. Beh un po' forse la ciurma se lo immagina, ma alla fine… chi se ne sbatte? Probabilmente è questa inespugnabile coscienza di "essere nel giusto" che stimola la sicurezza in un casuale passante, rigenerando una tradizione così forte e irregolare che quasi sembra appartenere alla storia della gente.

 

Sangue Misto – cani sciolti

La penisola che non c’è

Monday, July 9th, 2007

—> Questo splendido panorama è la visuale che si può ammirare dalla cima del blocco di granito più elevato della Valle della Luna: il "Teschio", così chiamato a causa della sua particolare forma. Sembra infatti un cranio che scruta il mare (anche se a me, questo blocco, ha sempre più ricordato la faccia di un gorilla). La stretta zona verde fra i due muri di roccia, culminante in quella caletta sabbiosa, è il punto propriamente chiamato Prima Valle dato che in realtà sono 7/8 – a seconda delle interpretazioni – le valli di cui si compone il complesso della Luna.

La Valle della Luna è quel posto mitico situato nella Sardegna del nord nei pressi di Santa Teresa di Gallura, più precisamente sulle sponde della piccola penisola di Capo Testa di fronte alla Corsica. Anche se rappresenta uno dei luoghi più anticamente abitati dall'essere umano in Europa – una fitta serie di reperti archeologici lo attesta – la Valle per molte persone è ancora un sogno, uno spazio indefinito fra terra, mare e cielo. Le maestose rocce di granito bianco a picco sull'acqua creano un intenso paesaggio lunare, increspato da decine di forme disegnate ed aggraziate dal vento in grado di plasmare ancora invisibili anfratti, dove giovani di ogni età trovano riparo come in piccole ed accoglienti dimore.

Ogni persona in Valle ha una storia diversa e ogni storia è la pagina di un libro che tutt* collaborano a scrivere dal 1970, anno in cui un non-meglio-precisato gruppo di hippies (provenienti da comuni sparse per l'Italia, dai vecchi Indiani Padani e da altre situazioni del genere) si insediò in Valle creando una nuova tradizione di condivisione universale. Come ricordavo più sopra questo angolo della Gallura è abitato da millenni, ma secondo la testimonianza di diversi reduci, fu proprio nell'estate del 1970 che qualcosa di importante vi ri-nacque. Da allora più di una generazione di strenui e pacifici amanti della natura e della libera espressione l'hanno popolata di colori, musiche e passioni difficilmente ritrovabili altrove: ogni estate, un insieme variopinto ed eterogeneo di viaggiatori si ritrova fra queste rocce per vivere esperienze comuni ai confini della realtà, attuando una dolce sovversione degli stili di vita che fuori da lì, nella civiltà, opprimono gli spiriti con le loro catene invisibili. In Valle non esistono catene e fra i suoi sentieri la sola legge che vige è quella del dialogo e della fratellanza. Questa natura unica dei rapporti che le persone vivono in Valle è uno degli elementi che in tutto il mondo ne alimenta la leggenda.

Commetterei una leggerezza se dicessi che quì la vita è tutta rosa e fiori. I momenti delicati, carichi di difficoltà, esistono anche in Valle: molto spesso queste difficoltà si chiamano con i nomi di alcol e stupefacenti. L'assoluta libertà che regna in tutta la zona a volte dà alla testa e chi non è abituato a gestire in modo diretto e personale la propria intimità può cadere vittima di oscure illusioni. In questi ultimi 40 anni ci sono stati periodi di alti e bassi, tra chi ha voluto intendere la Valle esclusivamente come luogo di sballo e chi l'ha eletta a prezioso spazio per lasciar correre gli impeti della propria anima. Queste due posizioni a volte entrano in contrasto, ma nessuno mai ha vietato di drogarsi in Valle (come ogni altro tipo di
divieto, in Valle non può esistere): forse dovrebbe accadere più spesso, ma in certi casi succede che alcuni esperti "viaggiatori" tentano di instillare nelle nuove generazioni un approccio più corretto
verso le droghe, basato maggiormente sulla condivisione dell'esperienza extrasensoriale e sull'apertura verso le essenze che scorrazzano simpaticamente per il cosmo. A volte si discute e altre volte può capitare di litigare, ma la certezza è sempre e solo la stessa: quando gli sbirri arrivano con le loro roboanti retate all'alba, le tensioni si acuiscono.

Da qualche tempo un gruppo di abitanti della Valle, guidati dalla tenacia di una giovane sassarese, ha avviato un progetto di apertura verso l'esterno, appoggiato da molti all'interno della "comunità" ma in certi episodi anche criticato. Si tratta della costituzione di una piccola ed informale community online, formata da un blog sul server di vagabondo.net e composta da alcune decine di abituali frequentatori delle grotte di Gallura più svariati curiosi visitatori che fra loro scambiano informazioni ed opinioni, raccontano di esperienze passate e future e si confrontano sui problemi che affliggono la Valle. Il progetto ha cominciato ad imporsi come funzionale punto di riferimento per alcuni valligiani all'incirca un anno fa, quando le cronache giornalistiche di tutta Italia – in modo visibilmente coordinato – iniziarono una campagna denigratoria nei confronti della Valle, impugnando da parte loro la presenza di una bambina risultata abbandonata durante i controlli per una di quelle sciagurate retate dei caramba di cui parlavo sopra. La vicenda risultò poi essere una montatura colossale e per approfondire le certezze, molti valligiani si interessarono appunto al blog. Così è nata un'importante risorsa virtuale a difesa della Valle e dei suoi principi, ricca di documentazioni "orali" e di immagini. Quì le coordinate per raggiungerla:

blog

forum

fotografie

 

La Valle della Luna è un luogo speciale: la sconcertante e positiva energia rilasciata notte e giorno dalle sue rocce è stata in grado di costituire un mito internazionale per almeno tre generazioni di rivoluzionari sognatori. Questo, a mio parere, è il dato più eclatante: la vita, il nome e le regole di questa comunità non sono attribuibili in nessun modo a persone fisiche specifiche. Tutta questa forza proviene direttamente dal granito delle rocce e chiunque, prima o poi – in un modo o nell'altro, si ritroverà con la Valle in persona a fare i conti di quanto si merita. Perché come mi ricordava un'amica, la Valle "ha dei mezzi molto radicali per farti capire che non gli piaci".

Tutt* coloro che sono in grado di attuare un regime di igiene personale e collettiva in luoghi impervi e ritengono, per motivi più o meno razionali, di essere gradit* alla Valle possono già prepararsi: una comoda ed elegante grotta è sempre pronta in attesa di essere vissuta.

(foto by Morgan) 

Loschi traffici all’ombra delle due torri

Wednesday, June 13th, 2007

due torriDa ormai due mesi, sulla stampa locale bolognese è normale imbattersi in qualche trafiletto che si scaglia contro il Link e la presunta attività di spaccio al suo interno che gli inquirenti tentano di appurare. Tentano? ..ma che tipo di intelligence occorre per capire che negli ultimi 10 anni, mezza Bologna è andata abitualmente nelle zone subito attigue al Link per rifornirsi? Non riesco a spiegarmi quale sia il motivo di tanta ignoranza da parte degli sbirri: in questi anni avranno sicuramente passato il loro tempo a monitorare e documentare l'imponente spaccio che, prima in via Fioravanti e ora in via Fantoni, ha affollato le notti di ogni week-end. Mi pare una cosa così ovvia.

Innanzitutto bisogna precisare che i ragazzi della gestione hanno sempre tentato di porre un freno a questa meschina attività: ricordo che già verso la fine degli anni '90 il Link si era dotato di una super-squadra di buttafuori africani che incuteva timore a chiunque. Tanto che all'interno dell'edifico, nonostante il massiccio consumo di sostanze, era veramente raro incappare in qualche rissa (infinitamente più raro, ad esempio, rispetto a quanto accadeva presso gli omologhi del Link sulla riviera romagnola). Lo spaccio regnava subito all'esterno del locale, mai al suo interno. La gestione ha sempre considerato tale attività un problema, piuttosto che una risorsa.

Più o meno lo stesso problema che affliggeva il Livello 57 fino a 5-6 anni fa, quando schiere di magrebini intossicati e alcolizzati dirigevano in modo del tutto incontrastato lo spaccio sotto al ponte di via Stalingrado, subito a ridosso dell'entrata del centro sociale. Anche quì i ragazzi della gestione tentarono più volte di allontanare gli squallidi mercanti, ma alla fine spuntava sempre fuori qualche lama (per non parlare di rivoltelle) che metteva tutti a tacere a favore del silenzioso e placido proseguimento dell'attività. Così lo spaccio è potuto continuare tranquillamente fino a quando la sede del Livello non si è dovuta trasferire. E gli sbirri? Vogliamo essere così cretini da credere che non sapessero niente gli sbirri di questa situazione? Tempo fa un ragazzo di Milano mi raccontava che una circostanza molto simile stava cominciando a prendere piede al Pergola, ogni degli spazi liberati più avanti della sua città: soliti problemi con spacciatori che tengono i coltelli dalla parte del manico e tu, pacifico attivista, non puoi che rassegnarti.

Ho l'impressione che ogni volta che si tratta di allontanare lo spaccio di droghe dalle zone intorno ai centri sociali, le autorità vengano colte da un'improvvisa "pigrizia" che rallenta, per non dire blocca, ogni forma di contrasto nei riguardi degli stessi spacciatori.

E' possibile, mi chiedo, che nella città di Bologna un'infinita schiera di nordafricani sia riuscita a vendere per 10 anni di fila lo stesso tipo di fumo nelle stesse identiche zone (guarda caso la zona universitaria) senza che la figura di rifornimento venisse mai sfiorata da indagini di polizia? E' palese che le decine di spacciatori che nell'ultima decade hanno imperversato da porta Mascarella a porta Castiglione, fossero organizzate da un unico centro: quella suola di hascisc -certamente più nociva di qualunque altra qualità di fumo- che vendevano è stata sempre e solo la stessa. Può infatti accadere, per delle coincidenze, che dei pusher vendano lo stesso tipo di fumo per qualche giorno, ma non per 10 anni consecutivamente! E soprattutto non quando i poveri spaccini di strada vengono arrestati e il giorno dopo ti ritrovi davanti un nuovo venditore che ti offre lo stesso fumo del ragazzo ingabbiato il giorno prima.

Boh, io ho tanto l'impressione di essere peso per il culo.

Dopotutto sono attestati diversi casi di intrusione da parte di loschi trafficanti all'interno del movimento giovanile bolognese. Poco fa leggevo un libro scritto da Gianni Cipriani (il condirettore di e-Polis, la testata giornalistica nazionale free-press di livello, e in passato firma dell'Unità) sui movimenti eversivi in Italia legati ai servizi segreti atlantici: "Sovranità limitata" (edizioni associate). Ebbene in questo libro, a pagina 256, Cipriani parla di una cartolina che lo storico attivista bolognese Bifo, insieme ad altri, scrisse da Parigi il 6/12/1977 a Ronald Stark, un americano che in quel periodo era incarcerato mi sembra a Pisa per traffico internazionale di stupefacenti. Stark è un personaggio enigmatico della stagione degli anni di piombo: durante la permanenza nelle carceri italiane si guadagnò la stima e la fiducia dei dissidenti nostrani, come attestato da Curcio e compagni, ma quando riuscì a lasciare l'Italia poco dopo (attraverso la base militare di Camp Derby o di Vicenza: info riservata cui nemmeno i giornalisti possono accedere) la sua identità fu chiara a tutti: addetto alle covert operations della CIA. Più tardi, nell'82, l'Interpol dichiarò di averlo arrestato nuovamente per un traffico di 200 kg di eroina scambiato con armi, ma la CIA si affrettò a far circolare la notizia secondo cui Stark sarebbe morto in quello stesso periodo per overdose. Interessante notare che le notizie in nostro possesso su questo personaggio sono state raccolte da magistrati che operavano a Bologna: Nunziante e Floridia.

Penso che la verità sugli oscuri traffici di droga non potremo mai saperla, ma quello che posso constatare è che Bologna -dagli anni '70 fino ad oggi- è stata e continua ad essere uno dei bersagli più importanti per le organizzazioni che sfruttano lo spaccio all'interno dei movimenti giovanili. Mannaggia all'emmedi!